Year2018

Ti amo. Non ti amo. Non lo so. Nel dubbio: AIUTO!

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<<Ti amo. Tu mi ami?>>

Eccolo, il panico che sale.

<<Si…>>

Risponde timidamente…

<<Ma è vero? Vero vero vero???>>

Ed ecco che inizia il loop nella testa: “Oddio, forse non è vero. Forse non tanto quanto dovrebbe essere. Forse dovrei sentire più emozioni, sentire di più la mancanza, e quel battito continuo nel cuore una volta che sono alla sua presenza.Forse, dovrei anche non vedere nessun altro al mondo oltre lui, o oltre lei. Dovrei volermi sposare in ogni istante della mia vita, e respirare la sua aria e non poter fare a meno dei suoi occhi e… e… e… oddio… forse non è vero amore!”

Ci siamo! Eccolo! Questo è il perfetto dialogo interno di chi è affetto da quello che da poco è stato etichettato come Disturbo Ossessivo Compulsivo da Relazione, vale a dire una sintomatologia ossessivo-compulsiva che ha il suo focus sulle relazioni intime e che solo di recente ha iniziato a ricevere attenzione sia dal punto di vista clinico che di ricerca (Doron, Derby, Szepsenwol, 2014).

Cos’è e come funziona?

Semplice, anche se tormentoso per chi ne è affetto, si tratta di vere e proprie ossessioni che possono riguardare la relazione che si vive o caratteristiche più specifiche del proprio partner… o entrambe le cose, se si è particolarmente fortunati 😉

I dubbi e i pensieri ossessivi che riguardano la relazione suonano più o meno come il dialogo interno di cui sopra: “amo o non amo? E come faccio a sapere se amo? E se credo di amare, come faccio ad essere sicuro che provo ciò che dovrei provare? E cosa provo in realtà? Sto davvero bene o lo penso soltanto? E come so che il mio partner mi ama davvero?” E via dicendo. Tanti modi allegri e divertenti per mettere in dubbio qualsiasi cosa e riempirsi di paranoie ad alto contenuto ansiogeno insomma.

Quando i sintomi ossessivi sono focalizzati sul partner allora i pensieri vanno più ad analizzare le caratteristiche fisiche dell’altro, in base alla creatività di ognuno e qui ogni persona è diversa, perché ci sono sempre modi originali per essere folli ;-). Magari ci si fissa su quel punto del naso che proprio non riusciamo a sopportare, o sull’angolazione del viso che ci da fastidio non si sa bene perché, o su come ride, o sul tono di voce che ha, o su come respira e come muove la testa quando dice di SI.

Il tutto è molto, molto difficile da gestire, perché (se hai questo disturbo lo sai e se non lo hai prova ad immaginarlo), soprattutto se non vuoi prendere in giro nessuno o comunque se non vuoi perdere tempo e vuoi essere certo di stare vivendo la relazione “giusta” per te, proverai a mettere in atto una serie di comportamenti per trovare risposte alle domande continue che ti vengono in mente.

Quali comportamenti? Eccone alcuni:

  1. Prestare una continua attenzione ai propri sentimenti per assicurarsi che siano “veri”: è un po’ come tentare di afferrare una farfalla… più le vai dietro, più ti sfuggirà. I pensieri annebbieranno le sensazioni e finirai per non sentire più nulla se non la tua paura folle di non sentire nulla. Fantastico vero? Più cerchi di capire, meno capirai. Più cerchi di sentire, meno sentirai. Più cerchi la sicurezza, meno la avrai. Più rincorrerai la certezza, meno la troverai.
  2. Prestare continua attenzione ai propri comportamenti: sto guadando qualcuno? Perché ho guardato quello lì o quella lì? Forse allora non voglio davvero bene al mio partner? Forse non mi basta? Sto cercando altro? Questo significa che potrei tradirlo/la?” E così via su questa linea. Così, comportamenti che per gli altri sono normalissimi (magari ti sarai già sentito/a dire che anche se si è fidanzati gli occhi continuano ad esserci e che sono fatti per guardare ecc, ecc…), per te diventano fonte di ansia e angoscia. La paranoia continua che siano la prova del tuo non amore. Ecco allora che, magari, inizi ad evitare cose che potrebbero turbarti. Magari non vai alle feste per paura di incontrare qualcuno che attiri la tua attenzione, oppure quando cammini per strada stai a testa bassa nella speranza di non incrociare nessuno sguardo interessante e costruisci intorno a te, man mano, una piccola prigione in cui sentirti al sicuro per il semplice fatto che è priva di stimoli, visto che ogni stimolo che non sia il tuo partner e che ti generi delle sensazioni piacevoli ti manda nel panico. Solo che, sai cosa succede quando si vive in una gabbia? Prima o poi ti viene voglia di evadere. Ed è davvero un peccato, visto che nella gabbia ti ci sei messo/a da solo/a proprio per paura di trovare chissà che cosa fuori.
  3. Confrontare la propria relazione con quella di amici, parenti, film e telefilm o con altre relazioni passate o con le opinioni degli altri: un altro modo per tentare di mettere fine ai dubbi continui su ciò che si prova e sull’autenticità di ciò che si prova, sono i continui confronti. “La coppia di Alfredo e Marianna sembra meno innamorata di noi, però Marco e Giovanna sono più belli e più stabili. Oddio ma io dall’esterno sembro più come Diana o come Vanessa? E perché in quel film dicono di provare quelle cose e io non le provo?”. Confronti su confronti che se anche per un attimo sembrano tranquillizzarti, poi ecco che arriva un dettaglio, una parola o uno sguardo che ti rimette in crisi e riparte il loop, e l’ansia, e l’angoscia.
  4. Aggrapparsi con le unghie e con i denti a momenti della propria storia in cui si è miracolosamente sentito l’amore esattamente come si pensa di doverlo sentire sempre: “dai ma quella volta però mi sono sentito/a così e colà”, “quel giorno ero così felice, se ero così felice vuol dire che sono innamorato/a no?” ecc, ecc, ecc…
  5. Lasciarsi spesso e volentieri: un’altra soluzione che alcuni adottano per testare i propri sentimenti è quella di lasciarsi più o meno una volta alla settimana. Si arriva così tanto al punto di essere soffocati dai propri pensieri ossessivi, che pur di sentire un po’ di sollievo mentale, si decide sistematicamente di lasciare il partner, per poi piombare in una sensazione di mancanza totalizzante, arrivare al punto di sentire bello nitido il dolore e quindi dirsi “ohhh… lo vedi che lo amo? Ah, adesso posso tornarci insieme!”. Si vive in questo stato di estasi sentimentale per un giorno, un’ora o una settimana e poi, SBAM; eccolo di nuovo lo stimolo X che fa tornare i dubbi e il circolo ossessivo riparte.

Si può uscire da tutto questo? Certamente si. Con le giuste strategie.

Eccone 3:

  1. La prima mossa da fare in avanti è capire che tutti questi dubbi non sono il sintomo di poco amore, ma di uno stile di pensiero ossessivo. Ora lo so che ti sentirai un attimo di sollievo ma che subito dopo ti dirai “eh, ma come faccio a sapere che è davvero il mio caso? Magari SEMBRA il mio caso, ma non lo è!”. Ecco, questo pensiero, è solo un’altra manifestazione del disturbo. Quindi, vai avanti a leggere 😉
  2. Smettere di cercare confronti con gli altri: interrompere i tentativi di confronto che li per li ti rassicurano ma che poi ti riportano nei loop. Quindi, niente chiacchierate kilometriche con le amiche, né letture disperate di quello che dice la gente sui forum ecc. STOP all’aiuto da casa! Ok?
  3. Evitare di evitare situazioni, persone, e cose simili per paura che ti cada l’occhio su qualcuno ecc. per iniziare a pensare che più cercherai di capire, sentire e scoprire quello che provi veramente, meno lo saprai. L’obiettivo dovrà essere uscire dal proprio cervello per tornare dentro le sensazioni e restarci anche quando esse saranno ambigue, ambivalenti e instabili. Ed imparare, a poco a poco, a rimanere tranquilli nonostante la mancanza di assoluta certezza e fermezza emotiva. Ma anzi, tollerare i movimenti della propria vita emotiva mentre si costruiscono bei momenti da “semplicemente” vivere con il proprio partner.

Infine, se la cosa è davvero disturbante per te e da solo/a non riesci a tirartene fuori ricorda che puoi richiedere un appuntamento anche via Skype cliccando qui.

Intanto puoi anche iniziare ad utilizzare un’app molto utile (purtroppo però esiste solo in inglese) che aiuta a fare un piccolo training quotidiano per rendere le proprie percezioni più flessibili rispetto all’amore e alla propria relazione. Puoi trovarla qui.

Perché Yoda andrebbe d’accordo con la mia Terapeuta e perché Luke Skywalker forse era un pò stupido. Ovvero, come si superano le pippe mentali

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Qualche tempo fa ero in una seduta con la mia terapeuta (si, ovviamente anche io a volte mi faccio dare una mano) e stavamo parlando delle mie “pippe mentali” su un certo argomento.

Ad un certo punto, in maniera abbastanza divertita, ma anche un po’ esasperata, lei allarga le braccia e mi fa: “mamma mia Robè, quanto sei paranoica… quanto lavora il tuo cervello…”.

Eh, lo so” ho risposto sempre tra il divertito e il demoralizzato.

Quando finirà?” ho aggiunto.

Quando smetterai di prendere precauzioni”.

Ora, la cosa forse potrebbe non suonarti illuminante come è stata per me, ma per farti capire meglio il discorso userò uno spezzone di uno dei film di Star Wars

Ok, seguiamo il video e quello che accade… guardalo e poi torna a leggere…

Luke avverte qualcosa di strano, “qualcosa che non va” sente “freddo e morte”.

La risposta di Yoda è subito molto chiara: “Quel posto è forte, del lato Oscuro della Forza”. E fin qui, ok, lo avevamo intuito anche noi… “Un regno malvagio esso è”. Ok, andiamo di male in peggio… ma ancora lo avevamo intuito… solo che, a questo punto Yoda aggiunge qualcosa di piuttosto sconcertante: “DENTRO DEVI ANDARE”.

Dentro devo andare???

Ma come dentro, Yoda??? Insomma, mi hai appena detto con aria solenne che si tratta di un posto in cui il lato oscuro è forte, addirittura lo hai definito un REGNO MALVAGIO, e la conseguenza che ne trai è che io ci devo andare dentro? Ma sei pazzo???

Luke pare però non avere la stessa reazione di cui sopra (si vede che aveva già passato un po’ di tempo ad addestrarsi con Yoda 😉 ). Non mette in discussione il comando del suo maestro, ma domanda semplicemente: “Che c’è lì dentro?”

Beh, anche qui… si vede che i dialoghi dei film sono fatti da gente più paziente di noi comuni mortali, perché un po’ al posto di Yoda viene da rispondere: “Ma come cosa c’è dentro? Ma sei sordo? Te l’ho appena detto Luke! Il lato Oscuro… il regno malvagio… mamma mia ma sei proprio ottuso! Ma non mi potevo scegliere un apprendista più acuto?”.

Invece Yoda è Yoda e risponde: “Solo ciò che con te porterai”.

Ecco, qui c’è la risposta a tutto.

Luke si trova davanti un luogo che sente essere freddo e di morte. Gli provoca delle sensazioni molto precise che vengono anche confermate dal suo maestro. Perché Yoda non gli dice: “Luke, ma che dici, sono paranoie le tue! Non c’è niente lì dentro! Statti tranquillo e non ci pensare! Mamma quante pippe che ti fai oh!”.

Eh no. Yoda segue la percezione di Luke. “E’ un luogo in cui il Lato oscuro è forte. Un regno Malvagio”. Come se dicesse: “si Luke, le paranoie che ti stai facendo sono reali. Quel problema esiste davvero. E’ un problema serio. E per risolverlo, caro mio, tu ci devi entrare. Una volta dentro ci troverai soltanto ciò che porterai con te”.

E Luke, sentito questo avvertimento prende la cintura con le armi e se la mette addosso… GENIO!

Ma come? Yoda ti ha appena detto che là dentro troverai SOLO quello che porterai con te e tu che fai? Ti porti le armi? Ma allora sei scemo! Eccheccavolo!

Ma Yoda, sempre più paziente di noi esseri comuni mortali, semplicemente ribatte: “Le armi, non ti serviranno”, Luke però se ne frega, si allaccia meglio la cintura (super-Genio… vabbeh, ormai abbiamo capito l’andazzo) ed entra nella caverna armato.

Insomma, senza tirarla per le lunghe visto che dobbiamo anche arrivare a una morale, una volta dentro incontra il fantasma di Dart Fener, che sguaina la sua spada e che si avventa su di lui. Combattono, gli taglia la testa e nell’elmo c’è lui stesso.

Non vado oltre nell’analizzare quest’ultima scena, perché non voglio fare spoiler a chi non avesse già visto il film (se non lo avete fatto, fatelo), ma la domanda sulla quale mi voglio concentrare è:

perché Yoda aveva detto a Luke che le armi non gli sarebbero servite se invece poi, una volta dentro la caverna, incontra Dart Fener con la spada che lo attacca?

Come avrebbe dovuto difendersi senza armi? Che voleva dire Yoda in realtà? Ha sbagliato? Lo ha preso in giro? Non sapeva cosa ci fosse veramente lì dentro?

Eh, la risposta è tutta nella frase: “Solo ciò che con te porterai”

Solo ciò che porterai…

Luke entra nella caverna con in testa un fantasma, e quindi ve lo ritrova.

Luke entra nella caverna con la paura che qualcuno possa fargli del male e attaccarlo, e quindi il fantasma lo attacca.

Luke entra nella caverna con le armi, e quindi combatte.

Solo ciò che porterai…

Bene, questa dinamica è esattamente quello che succede con le caverne che sanno di freddo e di morte della nostra vita, con i Regni Malvagi nei quali ci imbattiamo durante il nostro cammino.

Quello che portiamo con noi vi troveremo.

Temiamo che sul lavoro possano svalutarci e trattarci male e quindi stiamo sempre sulla difensiva? Ecco che troveremo svalutazioni e freddezza;

Siamo convinti che qualcuno abbia cattive intenzioni nei nostri confronti e quindi ci andiamo a parlare a muso duro, pronti ad azzannare alla giugulare al primo segnale di attacco? Ecco che verremo attaccati;

Abbiamo la paranoia di non essere abbastanza bravi, abbastanza belli, abbastanza intelligenti? Ecco che troveremo continue conferme del fatto che non siamo abbastanza bravi, abbastanza belli e abbastanza intelligenti.

Perché è così che funzionano le paranoie, ed è quello che voleva dirmi la mia terapeuta nella nostra ultima seduta: se vivi prendendo mille precauzioni a causa delle cose che hai paura di trovare nella caverna, la tua caverna sarà popolata dai tuoi fantasmi.

E, ancora peggio, se vivi EVITANDO la caverna, il lato oscuro al suo interno diventerà sempre più forte e alla fine dominerà la tua vita.

Cosa fare dunque davanti alle caverne della nostra vita?

Come gestirle e affrontarle?

Ecco qualche suggerimento pratico:

  1. Se hai una paranoia (e per paranoia intendo quella sensazione strana che ci sia qualcosa che non va, che non quadra ma che hai paura di guardare) entraci dentro. Difronte a certe grandi “pippe mentali” (uso i termini tecnici), un bel bagno di realtà è molto più utile di nottate trascorse a farsi domande alle quali non c’è risposta.
  2. Ricorda che vi troverai “solo ciò che porterai”. Quindi, se stai affrontando regni particolarmente malvagi, prova a domandarti cosa stai portando tu: paure? Rabbia? Parti subito all’attacco in certi contesti? Sei molto sulla difensiva? Stai prendendo delle precauzioni rispetto a qualcosa che ti fa paura?
  3. Agisci. L’azione scioglie molti dubbi che la mente da sola non riesce a sciogliere. Ed entrando ricorda che “le armi, non ti serviranno”.

E se hai bisogno di una mano per entrare o affrontare meglio qualche caverna della tua vita, ricorda che puoi sempre chiedere una Consulenza anche a distanza cliccando qui.

In che modo la tazzina in cui berrai il tuo caffè potrebbe renderti Madre Teresa di Calcutta

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Qualche tempo fa mi trovavo in giro per Roma con mio padre.

Passeggiavamo, parlavamo delle nostre vite e delle cose che ci stavano accadendo al momento, finché lui mi ha rivolto questa domanda: Quante volte sei cambiata fino ad ora nella tua vita?”.

La cosa mi ha fatto pensare, e non poco…

Sono una terapeuta, quindi, sono a contatto con il cambiamento continuamente. Vedo le persone cambiare, le aiuto a farlo. Alcune vengono nel mio studio per rivoluzionare la propria vita (spesso, dopo qualche grossa crisi), altre, per renderla più pacifica.

In un modo o nell’altro, il cambiamento è il mio pane quotidiano.

Ma quanti cambiamenti ci sono? Quanti cambiamenti, davvero, possiamo sopportare, nel corso della nostra vita?

Una volta, durante gli studi di Programmazione Neuro Linguistica, lessi qualcosa circa i diversi livelli di cambiamento che si possono vivere. La questione veniva affrontata da un tale di nome Robert Dilts (se vi capita, leggete i suoi libri, sono molto, molto interessanti). Lui parlava di “livelli logici”:

Ecco quali sono:

Ambiente: Sono cambiamenti di ordine del tutto esteriore. “Voglio cambiare casa”, “voglio cambiare città”, “Voglio comprare una macchina nuova”. Spesso, questo genere di cambiamenti, riguarda più che altro l’espressione di quello che siamo. Cambiamo vestiti, mobili e capelli dopo che abbiamo vissuto un qualche cambiamento interiore di più o meno grande portata (e le donne lo sanno, che i capelli, spesso e volentieri, si tagliano solo dopo certi eventi 😉 )

Comportamenti: Siamo ad un livello un po’ più profondo. Si tratta di cambiamenti che hanno a che fare con noi e le nostre relazioni. Si raggiungono quando ci si dice: “basta, voglio smettere di fumare”, “non voglio più avere questi scatti di ira, voglio stare calmo”, “Devo trovare il coraggio di riprendere a guidare”. Si tratta di cambiamenti immediatamente visibili che modificano, di conseguenza, alcune cose più profonde in noi. Sembrano cambiamenti a sè stanti, ma non è così. Se smetto di fumare, poi, mi SENTO diverso, non è solo un comportamento. Se riprendo a guidare e vinco le mie paure poi, mi SENTO più forte. E se mi SENTO diverso, più forte, cambiato, poi finisce che oltre quel comportamento ne cambierò altri e quando cambieranno diversi comportamenti, inizierò a cambiare ad un altro livello…

Capacità: Se devo smettere di fumare, ad esempio, devo imparare a gestire il momento in cui mi viene voglia di fumare una sigaretta, senza dare di matto e senza cedere. Più lo faccio, più divento capace di gestirmi, acquisisco delle strategie nuove nei confronti delle mie voglie compulsive e quindi, cambio… Ugualmente si può dire per il guidare la macchina, gestire la propria rabbia e qualsiasi altro comportamento che si è voluto cambiare. Non siamo robot, e in fondo, anche per i robot è così: se cambi modo di comportarti, cambiano le tue capacità, e se cambiano capacità iniziano a cambiare altre cose dentro di te, cose che hanno il potere di condizionare la tua vita in maniera molto, molto profonda….

Valori e credenze: qui iniziano i cambiamenti grossi, qui si smette di scherzare. Cerchiamo di capire. Se io per esempio, temo di guidare la macchina e quindi non lo faccio da 15 anni e poi decido che voglio cambiare e rimettermi a guidare e ci riesco e acquisisco la capacità di gestire la mia ansia e di superarla e poi faccio anche un bel viaggetto di una settimana on the road in Irlanda, quando, fino ad un paio di mesi prima, non riuscivo nemmeno ad uscire da garage di casa, beh, la mia percezione di ciò che per me è possibile, della mia autostima e di ciò che posso fare nella vita, cambia! Eccome se cambia! Perché sapete, se io mi convinco di poter fare certe cose, poi i miei standard cambiano e non solo gli standard, ma anche ciò che per me è importante, ciò che ha VALORE. Perché se la volpe impara a saltare più in alto e a raggiungere l’uva, beh, siamo proprio sicuri che continuerebbe a considerarla così disgustosa? O forse la vorrebbe, lo ammetterebbe e, convinta ormai di potercela fare (perché si è appena fatta il giretto in macchina in Irlanda dopo anni che non guidava), farebbe di tutto per raggiungerla e finalmente mangiarla? E una volta mangiata l’uva, non credete che la volpe cambierebbe ancora qualcosa dentro di sè? Che dite, si sentirebbe una perdente o una vincente?

Identità: Ebbene si, nella scalata del cambiamento, ad un certo punto, passo dopo passo, si tocca l’identità. Una volta che inizio a cambiare comportamenti che posso gestire, acquisisco nuove capacità, inizio a sentirmi fico e tosto e a modificare ciò che credo possibile raggiungere nella vita per me, io, inizio a sentirmi una persona nuova. Si, io cambio nell’identità. Se inizio a credere che posso farcela, non sono più un impiegato che ogni tanto suona la chitarra, ma divento un musicista che temporaneamente lavora in un’azienda. E se ci credo per un tempo sufficientemente lungo, poi mi stanco di fare l’impiegato e divento un musicista veramente. Perché ci credo, perché ho vissuto l’esperienza di arrivare all’uva, perché so che posso farcela con la determinazione giusta e l’acquisizione delle giuste capacità (organizzative, relazionali, tecniche o psicologiche che siano). Basta così? E’ questo il massimo livello di cambiamento al quale possiamo arrivare? No, il nostro amico Robert ne contempla un altro…

Spirituale: già sento alcuni di voi che si lamentano “mmh, ancora sta roba… ma io sono ateo, non ci credo in Dio, mo perché dobbiamo parlare del lato spirituale e fare i frikkettoni? Il discorso mi stava piacendo, che cavolo!”, ma prima di mandarmi a quel paese, chiudere l’articolo e il computer a causa di questa parola, lasciate che la definisca meglio, senza giustificazioni, solo per capirci. Avete presente Martin Luther King, Madre Teresa di Calcutta, Gandhi, Che Guevara, ma anche vostra nonna quando andavate a trovarla e vi preparava le polpette, o il barista che la mattina, insieme al caffè vi chiede come state (per un certo periodo della mia vita, il “come va oggi cara” del barista sotto casa mi ha salvato dalla disperazione esistenziale)? Bene, cosa hanno queste persone di particolare? Perché ce le ricordiamo? Al di là dei discorsi ideologici e delle prese di posizione rispetto a certi argomenti politici o religiosi, queste persone le ricordiamo perché hanno vissuto una vita allo scoperto. Hanno fatto qualcosa per gli altri e non solo per loro stessi, o quanto meno, ci hanno provato. Ecco, il livello di cambiamento “spirituale” rappresenta quella strana spinta verso l’esterno che ci prende quando iniziamo a sentirci davvero bene con noi stessi, quando iniziamo ad avere un senso di identità che ci fa sentire felici e in armonia col mondo e che ci spinge a pensare: “si ma… oltre a stare bene io, posso fare qualcosa per qualcuno in questo mondo? Posso dare il mio contributo? Posso… sostanzialmente… AMARE?”. Ecco di che si tratta. Eccolo il più grande e profondo cambiamento. Ecco la vera rivoluzione: Amare. Cambiare così tanto e così bene che alla fine amare ci sembri l’unica cosa sensata da fare nella nostra vita.

Ma tutto questo, non è facile.

Perché per riuscirci dobbiamo essere in grado di valutare in che direzione stiamo cambiando, che percorso stiamo facendo. Se i comportamenti che abbiamo oggi ci stanno davvero permettendo di costruire delle convinzioni che ci supportano e che ci fanno essere sempre più simili a ciò che vogliamo essere (e quando dico “ciò che vogliamo essere” intendo quello che volevamo essere da bambini, prima che gli ingorghi della vita ci avvilissero e ci convincessero della non desiderabilità dell’uva). E si, perché i cambiamenti avvengono di continuo, e non solo se li programmi. Le esperienze ci cambiano che noi lo vogliamo o no, quelle positive come quelle negative e, soprattutto dopo grosse delusioni, che hanno fatto crollare convinzioni, valori e quindi, di conseguenza, il nostro senso di identità, dobbiamo fare attenzione a come lasciamo che la vita ci ricostruisca, perché ogni volta che viviamo una esperienza nuova, alcuni pezzi di noi si perdono, il nostro senso di identità cambia e, forse, vale la pena, ogni tanto, fermarsi a fare un check.

Semplicemente chiedersi: “si ma, io… chi voglio diventare? Che genere di persona vorrei essere? E per essere quel genere di persona, che cosa dovrei pensare di me, degli altri e del mondo? E per avere queste convinzioni, che capacità dovrei acquisire? E per acquisirle, che comportamenti dovrei iniziare ad adottare? E per iniziare ad adottare quei comportamenti, in che tazzina devo bere oggi il mio caffè?”.

Pensaci 😉

E se ti serve una mano a pensarci, puoi sempre richiedere una Consulenza Personalizzata cliccando qui