CategoryDepressione e umore basso

Ma il passato si può cambiare?

Solitamente crediamo che il gusto, il senso e il significato che diamo alla nostra vita dipendano dai fatti oggettivi che ci sono capitati.

Se a 5 anni mi sono rotto la gamba e ne sono rimasto traumatizzato, quello è un fatto, non lo posso cambiare, e se oggi mi porto ancora addosso le conseguenze di quel trauma, devo solo subire: è il mio passato, è andata così.

Allo stesso modo, non posso fare nulla per cambiare la mia sensazione di essere un “fallito” se, ad esempio, non sono riuscito a finire gli studi e, di conseguenza, ho avuto problemi a trovare un lavoro stabile, avere una situazione economica soddisfacente e via dicendo. Così come non posso fare niente se il mio compagno mi ha abbandonata per un’altra persona, lasciandomi sola a smaltire la devastante ondata di dolore, disillusione e bassa autostima che ne è conseguita.

Ma tutto questo è vero? Davvero non possiamo fare nulla per cambiare il nostro passato?


Una lezione dalla fisica quantistica

Stamattina, mentre girovagavo su Instagram sfogliando reel, mi sono imbattuta in un post che parlava di un esperimento quantistico noto come “cancellazione quantistica a scelta ritardata” (in inglese, “delayed-choice quantum eraser”).

Questo esperimento esplora la natura controintuitiva della meccanica quantistica, dimostrando che le misurazioni effettuate su una particella possono influenzare il suo comportamento passato, sfidando le nostre tradizionali concezioni di causalità e tempo.

Nell’esperimento, una particella viene inviata attraverso un apparato con due fenditure, creando una figura di interferenza tipica del comportamento ondulatorio. Tuttavia, se si ottiene informazione sul percorso seguito dalla particella (comportamento particellare), l’interferenza scompare. Ciò che rende l’esperimento particolarmente sorprendente è che la decisione di ottenere o meno l’informazione sul percorso può essere presa dopo che la particella ha attraversato le fenditure, suggerendo che eventi futuri possano influenzare il passato della particella.

Ovviamente non voglio addentrarmi troppo nei dettagli, sia perché non ne so abbastanza per evitare di dire assurdità, sia perché il fine di questo articolo non è parlare di fisica quantistica. Tuttavia, leggere quel post mi ha fatto riflettere su quanto spesso siamo convinti che, siccome il nostro passato è andato in un certo modo, le nostre possibilità di cambiamento e di gioia siano inevitabilmente compromesse.

Ma è davvero così? E se non lo fosse? E se le nostre azioni di oggi, quelle che compiamo per costruire il futuro che desideriamo, avessero il potere di modificare anche la percezione che abbiamo del nostro passato, del significato che diamo agli eventi della nostra esistenza?


Le emozioni influenzano la memoria

Nel 1981, lo psicologo Gordon Bower condusse uno studio pionieristico dimostrando che il nostro stato emotivo influenza profondamente la memoria. I partecipanti, messi in uno stato emotivo artificiale – ad esempio, ascoltando musica triste o allegra – tendevano a ricordare più facilmente eventi coerenti con l’umore che stavano provando in quel momento. Quindi se oggi sono spesso triste, ricorderò più facilmente eventi passati in linea con la mia tristezza e ne cancellerò tanti altri, fonte di altre emozioni che oggi non provo. Questo fenomeno è noto come “congruenza dell’umore” (Mood-congruent memory).

Un altro studio significativo, condotto da Eich nel 1995, dimostrò il principio della “dipendenza dallo stato” (State-dependent memory). Eich scoprì che il recupero delle informazioni è più efficace quando il nostro stato emotivo attuale coincide con quello in cui abbiamo appreso l’informazione. Per esempio, se una persona ha vissuto un’esperienza mentre era ansiosa, sarà più probabile che la ricordi in un momento di ansia futura.


Una prospettiva neuroscientifica

Ma perché accade questo? La risposta si trova nel nostro cervello. L’amigdala, una struttura chiave nella regolazione delle emozioni, è strettamente connessa all’ippocampo, che si occupa dell’archiviazione e del recupero dei ricordi. Quando proviamo un’emozione intensa, l’attivazione dell’amigdala rafforza i ricordi legati a quella sensazione, rendendoli più accessibili quando ci troviamo in uno stato simile.

Questo meccanismo ha un valore evolutivo: ricordare eventi passati in base allo stato emotivo attuale ci aiuta a prendere decisioni più rapide e coerenti con la nostra esperienza. Se un tempo hai provato paura in una determinata situazione, è utile che il tuo cervello la riporti alla memoria quando sei nuovamente in uno stato di allerta.


Possiamo davvero cambiare il nostro passato?

L’effetto delle emozioni sulla memoria ci insegna qualcosa di profondo: il nostro passato non è un archivio statico di eventi, ma un insieme di ricordi modellati dal nostro stato presente. Questo significa che la nostra visione della vita può cambiare semplicemente in base all’umore attuale. E l’umore attuale, così come quello di domani, può essere influenzato dalle scelte che facciamo oggi.

Allora prestiamo attenzione alle occasioni che ci si presentano davanti, aspettiamo un attimo prima di dire: “Mmh, non lo so… non fa per me… magari non sono capace… ma come potrei farcela?” e via dicendo. Molte delle convinzioni che abbiamo sviluppato su noi stessi dipendono dal significato che abbiamo dato alle esperienze vissute. Ma questo stesso significato potrebbe essere modificato se ci diamo la possibilità di provare cose nuove, di sperimentare versioni di noi stessi che non conosciamo, ma che esistono, lì, nascoste dentro di noi.

Evitiamo di gettare la spugna troppo presto. Diamoci una possibilità diversa, per una volta… Magari, chissà, potremmo scoprire non solo di essere in grado di modificare il futuro che crediamo ci attenda, ma anche di dare un altro senso al nostro passato, soprattutto se ancora ci tormenta.

Continue reading

Cuore di Pietra o Lacrime nascoste? Il mistero del “Rilascio Emotivo”

C’è una cosa che in psicologia viene chiamata “rilascio emotivo”.

Mi veniva in mente oggi mentre provavo la sensazione che ho disegnato e l’esperienza connessa…

Mi sono svegliata male, avevo questa strana sensazione sul petto da ieri sera. 

E’ una sensazione che conosco, l’ho già sentita altre volte nella mia vita, e mi ha sempre creato tanto malessere. Una specie di peso, come se il cuore mi diventasse di pietra e allo stesso tempo si stringesse in se stesso, creandomi del dolore sordo, non tangibile, ma apparentemente fisico.

Questa mattina però, al contrario delle altre volte in cui mi era capitato in passato, ho avuto l’istinto di massaggiare il punto in cui sentivo stringere e con mia sorpresa ho iniziato a piangere.

E ho pianto. 

Senza capire bene il perché e il per come.

Ho pianto.

E man mano che piangevo, la sensazione si è affievolita, fino a scomparire.

Non ho ben compreso cosa mi sia successo di specifico.

Non sono ancora riuscita a comprendere perfettamente quali pensieri, o accadimenti abbiamo creato in me quello stato di malessere, nè perché io abbia pianto per scioglierlo. Ma si è sciolto, e questo è l’importante.

A volte la consapevolezza viene dopo, e forse non è sempre nemmeno così importante, non immediatamente quanto meno…

Rilascio emotivo e consapevolezza

Ed è un pò questo il rilascio emotivo: un processo che porta a rilasciare emozioni non elaborate o represse che, se trattenute, possono condurre a blocchi psicologici o anche, addirittura, fisici.

Perché la rabbia, la paura, il dolore o altre emozioni forti che non ci concediamo di provare, cercano di farsi sentire comunque, in altro modo.

A volte si manifestano attraverso tensioni muscolari, mal di testa inspiegabili, problemi digestivi o insonnia. Altre volte emergono sotto forma di ansia, irritabilità o tristezza apparentemente immotivate. Il corpo e la mente sono profondamente connessi, e quando le emozioni vengono represse, trovano vie alternative per esprimersi.

Allora, lasciare che esse comunichino ciò che devono dirci è importante, anche se lo fanno in un modo che poco ha a che fare con la razionalità o la ragione. Spesso, invece di ascoltarle, cerchiamo di soffocarle con il controllo o la razionalizzazione, ma il nostro sistema interiore conosce i suoi bisogni meglio di quanto crediamo.

Imparare ad Ascoltare il Corpo

La cosa sorprendente è che, il più delle volte, ognuno di noi ha la chiave per iniziare a dare via a questo rilascio.

E’ come se sapessimo istintivamente cosa fare per far emergere certe emozioni: piangere, ballare, dipingere, urlare, scrivere, immergersi nella natura, praticare un’attività fisica intensa o semplicemente stare in silenzio.

Non si tratta di logica, si tratta di seguire l’istinto.

Il corpo ricorda ciò che la mente cerca di dimenticare, e attraverso piccoli gesti di consapevolezza possiamo iniziare a liberarci del peso emotivo accumulato.

Ascoltare ciò che emerge, senza giudizio, è il primo passo verso la comprensione di ciò che ci capita dentro. Si tratta di iniziare un dialogo silenzioso con noi stessi, per darci il permesso di sentire ciò che non comprendiamo, che ci nascondiamo, che non accettiamo. E’ l’inizio della guarigione, ma soprattutto, dell’entrare in contatto e accettare tutte quelle parti di noi che nascondiamo e che hanno tanto, tanto da dirci… 

Continue reading

In che modo la tua “ombra” può rovinare la tua vita e in che modo, invece, potrebbe salvartela

Avete presente quando un amico vi chiede se volete uscire e a voi non va affatto di vederlo, solo che non avete il coraggio di dire la verità, quindi inventate una scusa qualsiasi per togliervi dall’imbarazzo, oppure quando vi viene chiesto di fare una presentazione in ufficio e vi sale quell’ansia pazzesca che non vi lascia respiro e che non vi fa dormire fino a che quella dannata presentazione non sarà finita?

Ecco, queste due cose, insieme a molte altre, sono la manifestazione della vostra ombra.

Ma che cos’è l’ombra? E come si fa a gestirla?

Per parlare in termini semplici, l’ombra è l’insieme di quelle parti di noi che riteniamo intimamente riprovevoli o fonte di vergogna che cerchiamo in tutti i modi di tenere nascoste agli altri, al mondo e a noi stessi.

L’ombra è quella parte di noi che quel giorno preferisce stare sul divano piuttosto che ascoltare le ultime lamentele dell’amico X, o quella che crediamo faccia solo figuracce in pubblico e che non vogliamo proprio mostrare all’uditorio verso il quale ci è stato chiesto di fare la presentazione.

L’ombra è il concentrato di pensieri amorali e moralmente condannabili che facciamo quando siamo soli, è ciò che ci spinge a mettere in atto comportamenti di cui poi ci vergogniamo e che cerchiamo sempre di tenere ben nascosti.

L’ombra è quella che ci spinge a fare fantasie erotiche su altre persone mentre siamo con il nostro partner, quella che ci fa giudicare male la forma delle sue gambe, o delle sue labbra, o delle sue mani.

E’ quella che vorrebbe gridare cose orribili al capo che ci da una nuova difficile mansione, o che ci fa venire voglia di scappare quando torniamo a casa stanchi dal lavoro e i nostri figli, bisognosi e piagnucolanti, ci attendono alla porta.

L’ombra, in definitiva, è tutto ciò che odiamo di noi stessi, tutto ciò che non vogliamo guardare e che vorremmo nessuno veda mai.

Siamo abituati a pensare che per essere delle brave persone, degne di amore e di rispetto e fiducia, dobbiamo tenere nascosta la nostra ombra. Abbiamo imparato a mentire, ad essere ipocriti quando serve, a fare buon viso a cattivo gioco pur di non farla venire allo scoperto. 

Ma se da una parte, tenere a bada certe nostre tendenze è necessario per poter convivere con gli altri, portare avanti il nostro matrimonio o non farci licenziare in tronco, dall’altra la continua censura potrebbe far venire fuori l’ombra quando meno ce lo aspettiamo e nelle situazioni meno opportune.

Parlo dell’angoscia che ci prende appena svegli o che non ci fa proprio addormentare, della rabbia che ci sale quando siamo bloccati nel traffico, della disperazione che ci schiaccia di fronte a cose di nessuna importanza (almeno all’apparenza).

Ma allora, se tenere a bada la nostra ombra fa parte della nostra sopravvivenza sociale ed emotiva, cosa bisogna fare per non esserne invasi in questi modi subdoli? Cosa fare per sopravvivere non solo nella società, ma anche dentro noi stessi?

Deepack Chopra, scrittore e medico indiano, scrive: <<Avere un’ombra non significa affatto essere imperfetti, bensì completi>>. Questo significa che il primo passo per non farci dominare dalla nostra ombra è iniziare a pensare che tutto ciò che odiamo di noi, che riteniamo orribile, censurabile, da nascondere e riprovevole, non è altro che una parte della natura umana, che non abbiamo solo noi, ma che hanno tutti!

Ma non solo! Tutte le cose che schifiamo e aborriamo negli altri, sono proprio le stesse che abbiamo dentro, ma che non vogliamo guardare.

In poche parole, senza troppi giri concettuali, facciamo tutti un po’ schifo…

Ma questo schifo, queste parti malsane di noi, questi difetti contro cui lottiamo o che cerchiamo di nascondere, sono una parte fondante della nostra vera identità. La forma oscura e “sbagliata” che hanno preso, l’hanno assunta proprio perché li lasciamo crescere nel buio della nostra coscienza, invece di portarli alla luce e farli illuminare dai nostri lati migliori.

Il problema quindi non è avere un’ombra, quanto averne paura e volerla lasciare nascosta, perché si sa, una volta alla luce non c’è nessuna lotta da dover fare, perché l’ombra, semplicemente, scompare.

In termini pratici cosa sto dicendo?

Che se ci sono parti di te che ti spaventano, comportamenti che non comprendi e di cui sei succube, dipendenze che non riesci a debellare, ossessioni di cui non riesci a liberarti, forse è il caso di smetterla di lasciarle là in sottofondo, tirarle fuori, affrontarle e scoprire cosa vogliono dirti di te, come possono aiutarti a vivere meglio (e non peggio) e in che modo possono essere utilizzate in maniera più funzionale per te stesso, le persone che ami e il mondo in cui esisti.

Spesso si crede che andare in terapia significhi ammettere di avere dei problemi, di non stare veramente bene, di non farcela da soli.

Ed è vero!

Finalmente! (aggiungerei)

Nessuno si salva da solo, ma ciascuno di noi ha in sé il potere di darsi una mano a farlo, a volte, chiedendo un aiuto.

E se leggendo questo articolo stai pensando che forse si, ci sono delle cosine che sarebbe il caso di guardare un po’ meglio e di mettere in ordine, allora fallo, non aspettare troppo, perché quando l’ombra resta nell’ombra, diventa solo più grande e più forte.

 


Per richiedere una consulenza dal vivo clicca qui

Per richiedere una consulenza on line clicca qui

Perche’ i traumi fanno male e perche’ a volte ci rimaniamo bloccati dentro

 

<<La vita è come una centrifuga>> diceva Elisabeth Kubler Ross <<sei tu che decidi se uscirne distrutto o ben levigato>>.

La vita è lineare, quello che crediamo, di solito, tende a realizzarsi, le cose vanno secondo i piani e più o meno tutto e sotto il controllo della nostra volontà… fino a che… non arriva lui: il trauma.

La parola “trauma” significa “ferita”, secondo il dizionario Garzanti, il trauma psichico è una “emozione che incide profondamente sulla personalità del soggetto”.

E’ una lacerazione, una divisione violenta della vita, uno squarcio esistenziale che ci annienta, ci mette a terra, ci schiaccia e ci fa in mille pezzi, dopo il quale diventa difficile, difficilissimo sentirsi “quelli che eravamo prima…”.

Dal trauma in poi il tempo della vita non è più lo stesso, viene scandito in un “prima” e in un “dopo”.

Tutto ruota intorno a quell’evento, quell’incidente, quel lutto, quella perdita, quella catastrofe, quel qualcosa che ha cambiato per sempre la nostra vita ormai fatta di ricordi, flashback, paure, dolore, rabbia, e dalla sensazione di non riuscire ad andare oltre. Stiamo fissi lì, in un putrido stagno esistenziale a guardare inorriditi quel “qualcosa” che è accaduto, che non ci aspettavamo, che ha devastato la percezione del mondo esistente fino a quel momento e che sta là, prepotente, senza cambiare di una virgola, nonostante passino i giorni, le settimane, i mesi, gli anni.

In quanto esseri umani, avremmo le capacità per uscire vivi da un trauma.

Possiamo farcela, è nelle nostre facoltà riuscire ad un certo punto a guardare le cose da una prospettiva che permetta di sopravvivere e riorganizzare la nostra vita, continuare a camminare, avere ancora delle speranze e sentirsi cambiati, si, ma anche migliorati, cresciuti, rinnovati.

Ma ci sono volte in cui le cose non vanno così.

Ci sono lutti dai quali non riusciamo a staccarci, eventi che non riusciamo a dimenticare, catastrofi che continuano a tormentarci.

Così la funzionalità della nostra vita viene compromessa.

Anche perché, come spesso avviene, nel tentativo di sistemare le cose facciamo più danni di quelli che già aveva fatto il trauma di per sè e per arginare le conseguenze del trauma ci auto-costruiamo nuovi disturbi da sovrapporre a quello post-traumatico:

  • Tentiamo di evitare situazioni o persone legate al trauma? Ecco che ci stiamo infilando in un bel disturbo fobico;
  • Cerchiamo un senso o delle spiegazioni a ciò che è accaduto e puntualmente ci arrendiamo al fatto che non riusciamo a dimenticare? Ecco l’inizio di una depressione;
  • Mettiamo in atto una serie di pratiche e rituali propiziatori per prevenire l’insorgenza di un altro trauma, o per riparare agli effetti del trauma subito? Il modo migliore per iniziare ad essere degli ossessivi compulsivi. 
  • O anche, tentiamo di lenire il dolore con qualche bicchierino di vino in più o con delle droghe e diamo il via ad una dipendenza ecc ecc…

Il più delle volte in cui non si riesce a superare un’esperienza traumatica è perché le nostre risorse sono bloccate proprio dai tentativi che mettiamo in atto per rispondere alle conseguenze emotive e psicologiche che il trauma ha avuto su di noi.

Lo scopo della terapia, quindi, non è quello di insegnare qualcosa di nuovo per superare il trauma, quanto quello di sbloccare le risorse che la vittima del trauma ha GIA’ dentro di se, ma che per una serie di motivi non riesce ad utilizzare.

Quindi, una prima domanda per cercare di sciogliere il tutto ed iniziare il percorso per sbloccarsi dalla situazione esistenziale stagnante e dolorosa di un post-trauma, è: “cosa stai cercando di fare per far fronte a quello che è successo?”

L’elenco che ne verrà fuori conterrà al suo interno proprio le cose che, invece di risolvere, ci inchiodano al trauma, facendo sì che il passato continui ad invadere il presente, senza permettere una progettazione del futuro.

A partire da quell’elenco, in terapia, si costruirà insieme un percorso ad hoc per superare davvero il trauma e ricostruire la propria vita. Così a partire dalla frattura si avrà l’obiettivo di guarire la ferita, permettere che essa cicatrizzi per andare avanti e costruire un equilibrio migliore, più funzionale, per ritrovare quel “piacere di vivere” che adesso sembra impossibile, ingiusto, o addirittura sbagliato e colpevole.

Per richiedere un appuntamento dal vivo (a Roma) o a distanza (Via Skype) cliccare qui.

Per approfondire la lettura dell’argomento si rimanda al testo: Federica Cagnoni – Roberta Milanese, Cambiare il passato, superare esperienze traumatiche con la terapia strategica, Ponte Alle Grazie, 2009, Milano.

 

“Sono molto deluso”… “Perché molto ti eri illuso!”. 3 consigli per evitare di deludere e di deludersi, ma senza perdere la speranza

240_F_191620119_Kw6SifBxfQ4xN8pWq9gGNbPJ7vxdr5X2

Lascia che ti racconti una mia esperienza personale sul campo dell’illustrazione (altro mio mestiere e passione oltre alla psicologia).

Qualche anno fa venni a sapere che una certa agenzia televisiva stava cercando un illustratore. Bisognava inviare alcuni disegni per mostrare il proprio stile e poter quindi essere valutati in confronto ad altri candidati. Avevo una giornata di tempo.

Piena di emozione e ansia da prestazione realizzai i primi due disegni impiegandoci metà giornata. Dovevo farne almeno 8.

Mi iniziai a disperare.

Ci avevo messo 5 ore per farne solo due, ero stressatissima e mi faceva male la schiena per la tensione. Non sarei mai riuscita a fare gli altri nelle ore rimanenti!

Però, quei due disegni… erano fantastici!

Mentre stavo lì a contemplare le mie opere e la mia disperazione, arrivò mio fratello che guardò i disegni, poi guardò me e mi disse:

Belli, ma questo non è il tuo stile…”

“Come no? Li ho fatti io!”

“Si ma… sono… diversi dai tuoi soliti. Ti ci vuole troppa concentrazione per farli così”.

“Si ma sono bellissimi! Mi prenderanno di sicuro!”

“Probabilmente hai ragione. Ma poi che farai? Tutte le volte che dovrai fare qualcosa per loro ti stresserai come oggi? Starai per tutta la durata della commissione con l’ansia a mille e la paura di non mantenere lo standard?”.

Mi fermai, e ci pensai su. Aveva ragione.

Mi stavo costruendo da sola una prigione terribile.

Se mi avessero davvero presa, poi dovevo mantenere quello standard, pena la loro delusione e la conseguente brutta nomea in quell’ambito che ne sarebbe derivata…

Decisi di rifare i disegni. Li feci con il mio stile, quello vero, quello che mi veniva spontaneo. Ci misi cura, ma non ansia e nessuno stress.

Se gli fossero piaciuti, dopo, sostenere quel tipo di lavoro sarebbe stato piacevole per me, divertente e in quello stato d’animo avrei potuto solo migliorare, magari anche stupirli se fossi stata particolarmente ispirata, ma di certo, non li averi delusi, perché stavo presentando LA VERA ME.

Morale della favola?

Mi presero.

Il lavoro fu divertente, ben pagato e mi diede una enorme botta di autostima 😉

Ed è lì che imparai a non promettere ciò che non potevo mantenere, o ciò che poi, sarebbe stato dispendioso, stressante e ansiogeno rispettare.

Perché ti ho raccontato questa storiella?

Per spiegarti in che modo riusciamo a deludere le persone a cui teniamo e come possiamo evitare di farlo ancora in futuro.

Esempio 1: Ti chiamano per un colloquio di lavoro. E’ un lavoro fico, importante e subito ti scatta la necessità interiore di mostrare il lato migliore di te affinché ti scelgano. Ti tieni a lucido e fai di tutto per mostrare il tuo meglio. Così loro ti prendono. A quel punto che succede? L’adrenalina ti cala, la motivazione anche (perché tanto ormai ti hanno scelto) e tu tornerai ad essere e a comportarti come sei davvero, il che non sarebbe un problema, se solo non avessi fatto credere a “loro” di essere più sprint, più pronto e più preparato di quello che sei. Li hai illusi, e adesso, immancabilmente, li deluderai. E una normale mancanza che altrimenti sarebbe una normale mancanza, confrontata con l’immagine che avevi dato di te, adesso diventa un problema. Un problema che, se non avessi fatto promesse che non potevi mantenere offrendo un’immagine falsata di te, adesso non ci sarebbe.

Esempio 2: Devi andare ad un appuntamento. Ti tiri a lucido, perché è un sacco che non esci con qualcuno e fai di tutto, un po’ come nell’esempio di prima, per mostrare i lati migliori di te: ascolti, annuisci anche difronte ad argomenti di cui non te ne frega assolutamente niente, fingi di essere preso/a, interessato/a, coinvolto/a e quando si tocca una tematica in cui sei in palese disaccordo, preferisci prendere la strada della diplomazia, e far finta, in qualche modo, che il tuo disaccordo non sia poi così elevato come invece in realtà è. Ti va bene, vi mettete insieme. Un bel giorno lui o lei torna sull’argomento, e adesso tu non hai più l’ansia di farti scegliere, perché ti ha già scelto, così dici francamente la tua e… inizia il patatrac. Perché lui/lei cade dalle nuvole, perché non immaginava che tu fossi così in contrasto, perché per lui/lei era un argomento importante, vitale, e credeva di aver scelto una persona con una posizione diversa. Di nuovo la sequenza dell’illusione a cui segue, immancabilmente la delusione.

Esempio 3: Prometti a te stesso di smettere di fumare. Ne sei assolutamente convinto. Poi invece esci, e fumi. E ti dici: “sono un cretino”. Perdi fiducia in te. Illusione. Delusione.

La dinamica promessa – illusione – delusione può essere applicata ad ogni campo della tua vita: coi tuoi amici, con quelli con cui giochi a calcetto, con i tuoi famigliari, con i tuoi figli, con te stesso.

Ogni volta che facciamo delle promesse che non siamo in grado di mantenere apriamo la porta all’amarezza della delusione.

Che significa questo?

Che non possiamo più promettere nulla alle persone che amiamo? Che dobbiamo andare ai colloqui di lavoro con la camicia sporca di sugo e i capelli pieni di forfora per non dover poi rispettare certi standard?

In qualche modo strano… SI! (anche se non proprio in maniera così drastica).

Si perché, presentarci con un po’ più di autenticità all’esterno ci renderà il mondo un po’ più semplice da gestire.

Perché sai, se hai la certezza che i tuoi amici stiano con te PUR conoscendoti bene, non avrai l’ansia quando ci dovrai uscire insieme, ti sentirai rilassato/a, perché avrai davanti a te persone con le quali non dovrai portare maschere.

E se ti hanno preso nel nuovo lavoro perché hanno visto quello che sai fare, con le luci e con le ombre, senza bugie e senza esagerazioni, non avrai più tutta quella paura di sbagliare, perché non ci sarà nessuna facciata da supererore da mantenere.

Chiaro no?

Ma come si fa a costruirsi una realtà del genere?

Ecco 3 consigli che potrai mettere in pratica subito:

  1. Prometti solo le cose che sei sicuro/a di poter mantenere: nelle relazioni soprattutto, evita accuratamente di fare promesse solo per “tenere buono” l’altro. Quello che tieni buono oggi con una illusione finisce per diventare un belva feroce quando l’avrai deluso. Intanto, lavora su te stesso/a per poter promettere, nel tempo, sempre più cose 😉
  2. Una volta al giorno, con le persone che vuoi tu, togliti un pezzettino di maschera: qualche volta, mentre sei con gli amici di sempre con i quali sei abituato a non dire esattamente la tua per non creare problemi, prova a fare qualche piccolo passettino in una direzione diversa. Dì un No, quando di solito per quieto vivere avresti detto un SI, o esprimi un parere che di solito tieni per te. Non è necessario che siano cose di grande interesse nazionale, anche minuscoli argomenti, insignificanti, solo per esercitarti a svelarti di più;
  3. Ai primi appuntamenti (di qualunque genere) mostra volontariamente qualche tuo lato imperfetto: se devi uscire con una persona, dì qualcosa di te che di solito terresti nascosto per “sicurezza”, o se vai ad un colloquio di lavoro, parla francamente di un tuo difetto. Mostra il lato impreciso, disilludili un po’ dall’inizio, così saranno vaccinati e dopo che ti avranno scelto non ci sarà più il pericolo della delusione sul tuo collo come una spada di Damocle. E se non dovessero sceglierti? Beh, ottimo, anche tu, dall’inizio, avrai evitato una catastrofica delusione nel futuro grazie una piccola disillusione nel presente 😉

Per chiedere una Consulenza dal Vivo o via Skype clicca qui