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Cuore di Pietra o Lacrime nascoste? Il mistero del “Rilascio Emotivo”

C’è una cosa che in psicologia viene chiamata “rilascio emotivo”.

Mi veniva in mente oggi mentre provavo la sensazione che ho disegnato e l’esperienza connessa…

Mi sono svegliata male, avevo questa strana sensazione sul petto da ieri sera. 

E’ una sensazione che conosco, l’ho già sentita altre volte nella mia vita, e mi ha sempre creato tanto malessere. Una specie di peso, come se il cuore mi diventasse di pietra e allo stesso tempo si stringesse in se stesso, creandomi del dolore sordo, non tangibile, ma apparentemente fisico.

Questa mattina però, al contrario delle altre volte in cui mi era capitato in passato, ho avuto l’istinto di massaggiare il punto in cui sentivo stringere e con mia sorpresa ho iniziato a piangere.

E ho pianto. 

Senza capire bene il perché e il per come.

Ho pianto.

E man mano che piangevo, la sensazione si è affievolita, fino a scomparire.

Non ho ben compreso cosa mi sia successo di specifico.

Non sono ancora riuscita a comprendere perfettamente quali pensieri, o accadimenti abbiamo creato in me quello stato di malessere, nè perché io abbia pianto per scioglierlo. Ma si è sciolto, e questo è l’importante.

A volte la consapevolezza viene dopo, e forse non è sempre nemmeno così importante, non immediatamente quanto meno…

Rilascio emotivo e consapevolezza

Ed è un pò questo il rilascio emotivo: un processo che porta a rilasciare emozioni non elaborate o represse che, se trattenute, possono condurre a blocchi psicologici o anche, addirittura, fisici.

Perché la rabbia, la paura, il dolore o altre emozioni forti che non ci concediamo di provare, cercano di farsi sentire comunque, in altro modo.

A volte si manifestano attraverso tensioni muscolari, mal di testa inspiegabili, problemi digestivi o insonnia. Altre volte emergono sotto forma di ansia, irritabilità o tristezza apparentemente immotivate. Il corpo e la mente sono profondamente connessi, e quando le emozioni vengono represse, trovano vie alternative per esprimersi.

Allora, lasciare che esse comunichino ciò che devono dirci è importante, anche se lo fanno in un modo che poco ha a che fare con la razionalità o la ragione. Spesso, invece di ascoltarle, cerchiamo di soffocarle con il controllo o la razionalizzazione, ma il nostro sistema interiore conosce i suoi bisogni meglio di quanto crediamo.

Imparare ad Ascoltare il Corpo

La cosa sorprendente è che, il più delle volte, ognuno di noi ha la chiave per iniziare a dare via a questo rilascio.

E’ come se sapessimo istintivamente cosa fare per far emergere certe emozioni: piangere, ballare, dipingere, urlare, scrivere, immergersi nella natura, praticare un’attività fisica intensa o semplicemente stare in silenzio.

Non si tratta di logica, si tratta di seguire l’istinto.

Il corpo ricorda ciò che la mente cerca di dimenticare, e attraverso piccoli gesti di consapevolezza possiamo iniziare a liberarci del peso emotivo accumulato.

Ascoltare ciò che emerge, senza giudizio, è il primo passo verso la comprensione di ciò che ci capita dentro. Si tratta di iniziare un dialogo silenzioso con noi stessi, per darci il permesso di sentire ciò che non comprendiamo, che ci nascondiamo, che non accettiamo. E’ l’inizio della guarigione, ma soprattutto, dell’entrare in contatto e accettare tutte quelle parti di noi che nascondiamo e che hanno tanto, tanto da dirci… 

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Io, te e noi due. I tre colori dell’Amore

L’amore tra fusione e autonomia

Essere innamorati è un’esperienza meravigliosa: farfalle nello stomaco, sogni ad occhi aperti, futuri immaginati, fantasie di connessioni cosmiche. Ma l’amore è davvero solo questo? Oppure esiste un aspetto meno raccontato che tutti, prima o poi, ci troviamo a vivere, e che può creare dubbi e incertezze?

Le relazioni sono un viaggio complesso, fatto di momenti di intensa connessione e di fasi in cui emerge il bisogno di spazio personale. Questo equilibrio è fondamentale, ma se mal interpretato può generare ansie e paure.

Il distacco non è un segnale di pericolo

L’amore è una danza tra fusione e autonomia. I momenti di vicinanza sono spesso interpretati come la conferma di un legame solido, mentre quelli di distanza possono essere vissuti come segnali di allarme.

“Se mi allontano, perderò il suo amore?” oppure “Se sto bene anche da solo/a, significa che non lo/a amo abbastanza?”.

Queste domande sono comuni, ma è importante ricordare che un amore sano si basa su un equilibrio delicato tra vicinanza e indipendenza.

Il bisogno di spazio è naturale

All’inizio di una relazione, l’energia dell’innamoramento può farci sentire completamente appagati dalla presenza dell’altro. Tuttavia, con il tempo, riaffiora il bisogno di momenti per sé stessi: per crescere, per ricaricarsi, per coltivare la propria individualità.

Questo può significare uscire con gli amici, passare del tempo con la propria famiglia o concedersi una giornata di solitudine. Tuttavia, questa esigenza può essere fraintesa, alimentando dubbi e insicurezze:

“Mi sento bene con lui/lei, ma sto bene anche da solo/a… significa che non lo/a amo?” oppure “Perché vuole stare da solo/a se ieri siamo stati così bene? Forse non mi ama abbastanza?”.

Il distacco può rafforzare il legame

Queste paure sono naturali, ma il bisogno di spazio non è una minaccia. Al contrario, è un segnale di crescita. Quando due persone si concedono reciprocamente il diritto di essere sé stesse, la relazione diventa più solida.

Se provi ansia quando l’altro cerca il suo spazio, o se hai paura di chiedere del tempo per te, fermati un momento a riflettere. Stai vivendo questa situazione come una perdita? Oppure come un’opportunità per lavorare sulla tua autonomia emotiva?

La comunicazione come chiave dell’equilibrio

Parlare apertamente dei propri bisogni e ascoltare quelli del partner è essenziale per costruire una relazione basata sulla fiducia. Dire “ho bisogno di stare un po’ da solo/a” non significa amare di meno, così come accogliere il bisogno di spazio dell’altro non vuol dire essere messi da parte.

Trasformare l’ansia in consapevolezza

Le ansie nelle relazioni non sono un segnale di fallimento, ma un’opportunità di crescita. Quando il distacco genera paura, chiediti:

  • Sto sacrificando troppo di me stesso/a per paura di perdere l’altro?
  • Sto ignorando i miei bisogni per conformarmi alle aspettative della relazione?
  • Sto vivendo il bisogno di spazio dell’altro come una minaccia invece che come un’opportunità?

Queste domande possono aiutarti a trasformare l’ansia in consapevolezza e a vivere il rapporto in modo più equilibrato.

L’amore come viaggio di crescita

L’amore non è statico, ma evolve nel tempo. Non esiste una formula perfetta, solo un processo continuo di scoperta reciproca. Quando un rapporto riesce a coniugare intimità e autonomia, diventa più forte e autentico.

Il vero amore non è possesso, ma libertà di essere se stessi, insieme.

 

Cherofobia, Martina Attili e X Factor: ma esiste davvero la paura di essere felici o si tratta di qualcos’altro?

Qualche giorno fa alle audizioni di X Factor 2018 si è esibita la giovanissima cantante Martina Attili che ha fatto venire a tutti la pelle d’oca parlando della sua paura di essere felice: la cherofobia.

Ma questa fobia esiste davvero?

Nel DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) non c’è, non è quindi considerata come un vero e proprio disturbo psicologico. Ma non tutto quello che esiste nella realtà è sempre stato ben classificato dagli esseri umani, ed inoltre, a sentire Martina, pare che i sintomi siano più che reali per lei (e non solo per lei).

Partiamo dalla canzone e cerchiamo di capire meglio cos’è la cherofobia e se esista davvero questa “paura della felicità”.

Come te la spiego la paura di essere felici 
quando non l’hanno capita nemmeno i miei amici. 

Prima caratteristica sulla quale soffermarci: non saperlo spiegare agli altri. Ok, questo succede un po’ con tutti i disturbi, perché quando si prova a descrivere la propria sofferenza a qualcuno che non la vive si finisce sempre per sentirsi profondamente soli. Così, oltre al dolore della patologia in sé, si finisce per potarsi dietro anche un dolore aggiunto: il sentirsi incompresi.

Ma l’incomprensione non è un sintomo specifico della cherofobia, è più che altro un “accessorio”, non siamo ancora arrivati al cuore della questione, quindi, andiamo avanti…


Mi dicono di stare calma quando serve 
mi portano del latte caldo e delle coperte. 

Ecco, qui possiamo intravedere un sintomo più specifico: il freddo interiore, l’angoscia, l’ansia (che gli altri tentano di tamponare con le forme più disparate di conforto). L’impossibilità di stare calmi in una situazione che per gli altri è del tutto normale.

Ed è proprio quando stanno a parlare che vorrei gridare 
grazie a tutti 
ora potete andare, 
ma resto qui 
a guardare un film.

E siamo alla terza caratteristica: la ricerca di isolamento, la necessità di chiudersi in una realtà conosciuta (guardare un film), che quindi non faccia paura, e che, magari, sappia distrarre. Perché il cherofobico ha bisogno di estraniarsi dalla realtà, ha bisogno di allontanarsene.

Ed evita, evita tutte le situazioni (sociali, cambiamenti di vita, occasioni) che potrebbero condurlo a un miglioramento della sua condizione essendo convinto del fatto che immediatamente dopo la sensazione di felicità arriverà di certo qualcosa che rovinerà tutto.

E’ questo il punto focale della cherofobia.

Si dice, per semplificare, che il cherofobico abbia paura della felicità, ma in verità, il cherofobico non ha paura della felicità in se stessa, ha paura di quando questa felicità non ci sarà più.

Ha sempre quella sensazione spaventosa ed invadente, subdola e nascosta, che anche nel momento più gioioso al mondo sia in attesa, da qualche parte, l’altro lato nefasto della medaglia: l’attimo in cui quel momento sarà passato e al suo posto ci sarà solo il vuoto, il dolore, il non senso.

Meglio non provare nulla allora, meglio non cambiare niente, almeno l’equilibrio attuale lo si conosce, si sa cosa aspettarsi, quali sensazioni sentire e quali non aspettarsi più.

Ma d’altra parte, come dargli torto?

Non è forse altamente probabile che ad una gioia possa seguire un dolore? Che un amore nato lasci prevedere anche la sua probabile fine, che ogni alba sia solo l’inizio del prossimo tramonto?

Così, per non soffrire, preferisco non gioire.

Sto fermo, nel mio stagno emotivo esistenziale ed evito accuratamente tutte le onde che potrebbero portarmi troppo in alto e poi farmi cadere giù.

Evito i cambiamenti potenzialmente favorevoli, perché potrebbero cambiare ancora e lasciarmi lì attonito con la bocca asciutta.

Evito le situazioni sociali troppo coinvolgenti, perché quando si saranno esaurite, mi sentirò più solo e sentirò assenze insopportabili da sentire.

Evito l’amore, perché quando finirà, potrebbe distruggermi.

In poche parole, evito di vivere, perché la morte mi farebbe troppo male e scelgo di sopravvivere.

Ma proprio a causa di questa soluzione di evitamento che adotto, proprio a causa del fatto che rinuncio alla felicità pur di non sentire la sofferenza, mi indebolisco.

Eh si perché, senza rendermene conto, è proteggendomi che mi metto più a rischio.

Perché se è vero che tutto cambia e che l’ombra è sempre dietro l’angolo, anche quello che in questo momento mi sembra sicuro e stabile potrebbe cambiare, spezzarsi, frantumarsi. Solo che, quando accadrà, io non sarà pronto a gestirlo, perché, come accade a chi si chiude in casa per evitare le malattie, non ho mai dato modo al mio “organismo esistenziale” di farsi gli anticorpi e quando arriva la malattia mi annienta davvero.

La soluzione a tutto questo?

Non si tratta sicuramente di convincersi che la felicità durerà per sempre (sarebbe ingenuo e sarebbe una illusione che aprirebbe le porte a tutte le delusioni successive), ma di comprendere che evitare la vita è proprio ciò che alimenta la paura di farsi male, perché evitando si diventa più vulnerabili, e più deboli.

La strada, quindi, è quella di vaccinarsi al dolore, alla sensazione di vuoto che coglie ognuno di noi quando una felicità sulla quale contavamo viene a mancare.

Armarsi interiormente, emotivamente, esistenzialmente per diventare capaci di fronteggiare le parentesi di dolore che possono esistere tra un periodo felice e l’altro, e perché no, imparare anche a coglierne i benefici nascosti, perché, come diceva la terapeuta Elizabeth Kubler Ross: La vita è come una centrifuga, sei tu che decidi se uscirne distrutto o ben levigato.


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Ti amo. Non ti amo. Non lo so. Nel dubbio: AIUTO!

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<<Ti amo. Tu mi ami?>>

Eccolo, il panico che sale.

<<Si…>>

Risponde timidamente…

<<Ma è vero? Vero vero vero???>>

Ed ecco che inizia il loop nella testa: “Oddio, forse non è vero. Forse non tanto quanto dovrebbe essere. Forse dovrei sentire più emozioni, sentire di più la mancanza, e quel battito continuo nel cuore una volta che sono alla sua presenza.Forse, dovrei anche non vedere nessun altro al mondo oltre lui, o oltre lei. Dovrei volermi sposare in ogni istante della mia vita, e respirare la sua aria e non poter fare a meno dei suoi occhi e… e… e… oddio… forse non è vero amore!”

Ci siamo! Eccolo! Questo è il perfetto dialogo interno di chi è affetto da quello che da poco è stato etichettato come Disturbo Ossessivo Compulsivo da Relazione, vale a dire una sintomatologia ossessivo-compulsiva che ha il suo focus sulle relazioni intime e che solo di recente ha iniziato a ricevere attenzione sia dal punto di vista clinico che di ricerca (Doron, Derby, Szepsenwol, 2014).

Cos’è e come funziona?

Semplice, anche se tormentoso per chi ne è affetto, si tratta di vere e proprie ossessioni che possono riguardare la relazione che si vive o caratteristiche più specifiche del proprio partner… o entrambe le cose, se si è particolarmente fortunati 😉

I dubbi e i pensieri ossessivi che riguardano la relazione suonano più o meno come il dialogo interno di cui sopra: “amo o non amo? E come faccio a sapere se amo? E se credo di amare, come faccio ad essere sicuro che provo ciò che dovrei provare? E cosa provo in realtà? Sto davvero bene o lo penso soltanto? E come so che il mio partner mi ama davvero?” E via dicendo. Tanti modi allegri e divertenti per mettere in dubbio qualsiasi cosa e riempirsi di paranoie ad alto contenuto ansiogeno insomma.

Quando i sintomi ossessivi sono focalizzati sul partner allora i pensieri vanno più ad analizzare le caratteristiche fisiche dell’altro, in base alla creatività di ognuno e qui ogni persona è diversa, perché ci sono sempre modi originali per essere folli ;-). Magari ci si fissa su quel punto del naso che proprio non riusciamo a sopportare, o sull’angolazione del viso che ci da fastidio non si sa bene perché, o su come ride, o sul tono di voce che ha, o su come respira e come muove la testa quando dice di SI.

Il tutto è molto, molto difficile da gestire, perché (se hai questo disturbo lo sai e se non lo hai prova ad immaginarlo), soprattutto se non vuoi prendere in giro nessuno o comunque se non vuoi perdere tempo e vuoi essere certo di stare vivendo la relazione “giusta” per te, proverai a mettere in atto una serie di comportamenti per trovare risposte alle domande continue che ti vengono in mente.

Quali comportamenti? Eccone alcuni:

  1. Prestare una continua attenzione ai propri sentimenti per assicurarsi che siano “veri”: è un po’ come tentare di afferrare una farfalla… più le vai dietro, più ti sfuggirà. I pensieri annebbieranno le sensazioni e finirai per non sentire più nulla se non la tua paura folle di non sentire nulla. Fantastico vero? Più cerchi di capire, meno capirai. Più cerchi di sentire, meno sentirai. Più cerchi la sicurezza, meno la avrai. Più rincorrerai la certezza, meno la troverai.
  2. Prestare continua attenzione ai propri comportamenti: sto guadando qualcuno? Perché ho guardato quello lì o quella lì? Forse allora non voglio davvero bene al mio partner? Forse non mi basta? Sto cercando altro? Questo significa che potrei tradirlo/la?” E così via su questa linea. Così, comportamenti che per gli altri sono normalissimi (magari ti sarai già sentito/a dire che anche se si è fidanzati gli occhi continuano ad esserci e che sono fatti per guardare ecc, ecc…), per te diventano fonte di ansia e angoscia. La paranoia continua che siano la prova del tuo non amore. Ecco allora che, magari, inizi ad evitare cose che potrebbero turbarti. Magari non vai alle feste per paura di incontrare qualcuno che attiri la tua attenzione, oppure quando cammini per strada stai a testa bassa nella speranza di non incrociare nessuno sguardo interessante e costruisci intorno a te, man mano, una piccola prigione in cui sentirti al sicuro per il semplice fatto che è priva di stimoli, visto che ogni stimolo che non sia il tuo partner e che ti generi delle sensazioni piacevoli ti manda nel panico. Solo che, sai cosa succede quando si vive in una gabbia? Prima o poi ti viene voglia di evadere. Ed è davvero un peccato, visto che nella gabbia ti ci sei messo/a da solo/a proprio per paura di trovare chissà che cosa fuori.
  3. Confrontare la propria relazione con quella di amici, parenti, film e telefilm o con altre relazioni passate o con le opinioni degli altri: un altro modo per tentare di mettere fine ai dubbi continui su ciò che si prova e sull’autenticità di ciò che si prova, sono i continui confronti. “La coppia di Alfredo e Marianna sembra meno innamorata di noi, però Marco e Giovanna sono più belli e più stabili. Oddio ma io dall’esterno sembro più come Diana o come Vanessa? E perché in quel film dicono di provare quelle cose e io non le provo?”. Confronti su confronti che se anche per un attimo sembrano tranquillizzarti, poi ecco che arriva un dettaglio, una parola o uno sguardo che ti rimette in crisi e riparte il loop, e l’ansia, e l’angoscia.
  4. Aggrapparsi con le unghie e con i denti a momenti della propria storia in cui si è miracolosamente sentito l’amore esattamente come si pensa di doverlo sentire sempre: “dai ma quella volta però mi sono sentito/a così e colà”, “quel giorno ero così felice, se ero così felice vuol dire che sono innamorato/a no?” ecc, ecc, ecc…
  5. Lasciarsi spesso e volentieri: un’altra soluzione che alcuni adottano per testare i propri sentimenti è quella di lasciarsi più o meno una volta alla settimana. Si arriva così tanto al punto di essere soffocati dai propri pensieri ossessivi, che pur di sentire un po’ di sollievo mentale, si decide sistematicamente di lasciare il partner, per poi piombare in una sensazione di mancanza totalizzante, arrivare al punto di sentire bello nitido il dolore e quindi dirsi “ohhh… lo vedi che lo amo? Ah, adesso posso tornarci insieme!”. Si vive in questo stato di estasi sentimentale per un giorno, un’ora o una settimana e poi, SBAM; eccolo di nuovo lo stimolo X che fa tornare i dubbi e il circolo ossessivo riparte.

Si può uscire da tutto questo? Certamente si. Con le giuste strategie.

Eccone 3:

  1. La prima mossa da fare in avanti è capire che tutti questi dubbi non sono il sintomo di poco amore, ma di uno stile di pensiero ossessivo. Ora lo so che ti sentirai un attimo di sollievo ma che subito dopo ti dirai “eh, ma come faccio a sapere che è davvero il mio caso? Magari SEMBRA il mio caso, ma non lo è!”. Ecco, questo pensiero, è solo un’altra manifestazione del disturbo. Quindi, vai avanti a leggere 😉
  2. Smettere di cercare confronti con gli altri: interrompere i tentativi di confronto che li per li ti rassicurano ma che poi ti riportano nei loop. Quindi, niente chiacchierate kilometriche con le amiche, né letture disperate di quello che dice la gente sui forum ecc. STOP all’aiuto da casa! Ok?
  3. Evitare di evitare situazioni, persone, e cose simili per paura che ti cada l’occhio su qualcuno ecc. per iniziare a pensare che più cercherai di capire, sentire e scoprire quello che provi veramente, meno lo saprai. L’obiettivo dovrà essere uscire dal proprio cervello per tornare dentro le sensazioni e restarci anche quando esse saranno ambigue, ambivalenti e instabili. Ed imparare, a poco a poco, a rimanere tranquilli nonostante la mancanza di assoluta certezza e fermezza emotiva. Ma anzi, tollerare i movimenti della propria vita emotiva mentre si costruiscono bei momenti da “semplicemente” vivere con il proprio partner.

Infine, se la cosa è davvero disturbante per te e da solo/a non riesci a tirartene fuori ricorda che puoi richiedere un appuntamento anche via Skype cliccando qui.

Intanto puoi anche iniziare ad utilizzare un’app molto utile (purtroppo però esiste solo in inglese) che aiuta a fare un piccolo training quotidiano per rendere le proprie percezioni più flessibili rispetto all’amore e alla propria relazione. Puoi trovarla qui.

La tormentosa questione dell’Elastico attaccato alla schiena

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Avete mai provato la sensazione di non riuscire ad andare avanti nella vita?
Come se ci fosse un elastico, un enorme elastico che vi lega, indietro, da qualche parte alle vostre spalle.
E voi fate di tutto per divincolarvi, per tentare di liberarvi, ma l’elastico vi lega là e se con enorme sforzo, riuscite a fare quei 2, 3 passetti che le persone “normali” fanno fischiettando, la felicità non dura che pochi minuti, perché immediatamente dopo, proprio a causa della forza che avete voi stessi esercitato per muovervi in avanti, l’elastico avrà la spinta per rigettarvi indietro, con violenza, tanta più violenza quanta più forza avete impiegato per fare quei due miseri passi in avanti.
E “SBAM”, sarete nuovamente sbattuti al palo a cui è legato l’elastico, ancora una volta, e poi ancora, e ancora, e ancora, senza possibilità di scampo.

Così alternate momenti in cui vi arrendete (e vi deprimete) perché non c’è davvero nulla da fare a riguardo (l’elastico esiste, ed è più forte di voi), a momenti in cui, dopo il riposo della resa, risentite la voglia di riprovarci, di nuovo, con più forza, con più furore, nella speranza di spaccare l’elastico ed essere finalmente liberi.
Ma la storia si ripete: “SBAM”, 2 passi avanti e 700 indietro…

E allora? Che si fa? Come se ne esce?
Eh, non lo nascondo, è un bel casino… ma di certo, guardando il disegnino che mi è venuto in mente questa mattina mi appare evidente (e forse apparirà evidente anche a voi) che la prima cosa da fare per interrompere il circolo vizioso (o sarebbe meglio dire il “molleggiamento” vizioso) sia INTERROMPERE IMMEDIATAMENTE TUTTI I TENTATIVI FOLLI E DISPERATI DI FARE QUEI DANNATI PASSI IN AVANTI. Perché più lottiamo per andare avanti, più l’elastico ci ricondurrà dietro e, quel che è peggio, lo farà proprio con lo slancio che noi stessi gli avremo offerto sforzandoci di fare i passi in più.
Quindi, primo consiglio del giorno contro l’elastico: SMETTI DI DARE SLANCIO AL TUO ELASTICO.


 

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